DETERMINANTI DI SALUTE E DIRITTO AD UN AMBIENTE SANO

Il report dell’AETERE’S LAB

DETERMINANTI DI SALUTE E DIRITTO AD UN AMBIENTE SANO

Nel numero di febbraio 2023 di ND Natura Docet (Rivista mensile di Medicina, Salute, Alimentazione, Benessere, Turismo e Cultura) è stato pubblicato un nuovo articolo sulla Tossicologia Ambientale, redatto da AETERE’S e riguardante il diritto ad un ambiente sano, sancito dall’OMS e dalla Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (29 settembre 2021).

Vivere in un ambiente sano è stato finalmente riconosciuto essere uno dei cosiddetti “determinanti di salute” (fattori in grado di determinare la salute) e diventa un diritto sancito.

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Il 4 Novembre 2020 il Governo ha approvato il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, così come previsto dall’art.47 della legge 23 luglio 2009, n.99, che prescrive che il Parlamento approvi ogni anno un’apposita normativa finalizzata a “rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati e a “promuovere lo sviluppo della concorrenza” e a “garantire la tutela dei consumatori” (comma 1). In aggiunta alla finalità sopra richiamata, l’art. 1 del disegno di legge approvato dal governo stabilisce che gli altri obiettivi dell’intervento normativo sono i seguenti:

  1. La promozione dello sviluppo della concorrenza;
  2. Il rafforzamento della giustizia sociale;
  3. Il miglioramento della qualità e dell’efficienza dei servizi pubblici;
  4. La garanzia della tutela dei cittadini.
  5. Il potenziamento della tutela dell’ambiente e del diritto alla salute dei cittadini.

Il legislatore sembra quindi promuovere, almeno formalmente, una rinnovata attenzione al concetto di salute, allargandone i confini dall’individuo alla collettività, intendendo la salute come il risultato di un’interazione sana e armonica tra il singolo e l’ambiente nel quale esso vive e opera, inteso in tutte le sue accezioni. Sembra emergere una visione finalmente olistica ed eco-sistemica che pone la massima attenzione alla qualità non solo delle relazioni umane, ma anche degli spazi all’interno dei quali esse si svolgono. La salute e il benessere psicofisico sono diritti e doveri che coinvolgono l’intera collettività. Ecco che emerge un “nuovo” concetto della salute di comunità: l’idea della salute come bene comune, promossa dalla comunità competente che produce salute. Per riuscire a raggiungere tale obiettivo è opportuno:

  1. Valorizzare le competenze della persona nel promuovere la propria salute
  2. Promuovere stili di vita che consentano di guadagnare salute
  3. Realizzare contesti di vita e lavorativi che abbiano al primo posto la promozione della salute delle persone
  4. Promuovere gli ideali di cittadinanza e della democrazia come pratiche del prendersi cura delle persone
  5. Far si che il sistema di servizi, pratiche e competenze mediche e sociali siano accanto alla persona; che sappiano accoglierla, prenderla in carico nel suo contesto di vita e avvalersi della sua competenza e partecipazione attiva.

È per rispondere a tutte le istanze sopracitate, che non debbano rimanere delle sterili linee guida, ma capisaldi di una serie di diritti inalienabili dei cittadini, che è stato istituito, fra l’altro, il cosiddetto Budget di Salute, “uno strumento di definizione quantitativa e qualitativa delle risorse economiche, professionali e umane necessarie per innescare un processo colto a restituire centralità alla persona, attraverso un progetto individuale globale”.

I determinanti della salute

All’interno di questo complesso strumento appare immediatamente primaria la necessità di individuare e definire quei “fattori la cui presenza modifica in senso positivo o negativo lo stato di salute di un individuo e, più estesamente, di una comunità o di una popolazione”; stiamo parlando dei determinanti della salute. La discussione non è solo teorica e concettuale; le sue conclusioni hanno a che fare con le strategie di prevenzione e le politiche sanitarie di una nazione. Per questo motivo la Commissione sui Determinanti Sociali della Salute ha prodotto su questo tema uno specifico rapporto e proposto una nuova, originale cornice concettuale.

I determinanti di salute possono essere raggruppati in varie categorie:

  • comportamenti personali e stili di vita (incidono al 50% sulla salute; fonte USA: Centers for disease control and prevention)
  • fattori sociali
  • condizioni di vita e di lavoro
  • accesso ai servizi sanitari (10%)
  • condizioni generali socio economiche
  • condizioni culturali
  • condizioni ambientali (20% )
  • fattori genetici (20%)

Il modello proposto dalla Commissione sui Determinanti Sociali della Salute si riferisce non solo ai fattori che influenzano lo stato di salute degli individui e delle comunità (determinanti della salute), ma anche a quelli coinvolti nella diseguale distribuzione della salute all’interno della popolazione (determinanti delle diseguaglianze nella salute):
A) Il contesto politico e socio-economico.
B) La posizione socio-economica – [a + b = determinanti strutturali].
C) Condizioni di vita e di lavoro, fattori psicosociali, coesione sociale, comportamenti individuali e fattori biologici, sistema sanitario – [determinanti intermedi].

All’interno di questo report noi focalizzeremo la nostra attenzione su i cosiddetti determinanti intermedi che rappresentano i “fattori causali la cui azione è più direttamente legata all’insorgenza di una malattia (determinanti intermedi)”.
Le principali categorie dei determinanti intermedi di salute sono:

a) Condizioni materiali: gli standard materiali di vita quotidiana (disponibilità di acqua potabile e di cibo adeguato, riscaldamento, infrastrutture igieniche, etc)  rappresentano probabilmente il più importante determinante intermedio.

b) Condizioni socio-ambientali o psicosociali: lo stress acuto o cronico può essere causa di diverse forme di malattia; la posizione socio-economica di una persona può essere causa di stress a lungo termine e può influire sulla capacità di quella stessa persona di gestire situazioni stressanti e difficili.

c) Comportamenti individuali come abitudine a fumo, alcol, sostanze, alimentazione, attività fisica, molto condizionati dalla posizione socioeconomica.

d) La coesione sociale che espressa dalla qualità delle relazioni sociali e dall’esistenza di reciproca fiducia e rispetto, di reciproci doveri all’interno della comunità, aiuta a proteggere le persone e la loro salute. Società con alti livelli di diseguaglianze nel reddito tendono ad avere meno coesione sociale e più crimini violenti.

e) Fattori biologici non modificabili: patrimonio genetico, età, sesso.

f) Il sistema sanitario. Il modello concettuale proposto dalla Commissione individua nel sistema sanitario un fondamentale determinante sociale di salute, e di equità nella salute, attraverso alcune principali modalità di azione: intervenendo attraverso la prevenzione primaria nelle aree della nutrizione, dell’igiene ambientale, dell’abitazione e delle condizioni di lavoro; o il supporto sociale; curando e riabilitando i problemi di salute che costituiscono il gap socioeconomico del carico di malattia (la riabilitazione, in particolare, è spesso trascurata come un potenziale fattore nella riduzione delle diseguaglianze nella salute); proteggendo contro le conseguenze sociali ed economiche della malattia attraverso la copertura assicurativa sanitaria e adeguate politiche del lavoro.
Ancora una volta, per focalizzare ulteriormente il nostro campo di ricerca ed analisi noi ci concentreremo sui punti b ed e dell’elenco, perché i più recenti e avvalorati studi specifici hanno dimostrato come le caratteristiche dell’ambiente lavorativo e domestico siano fattori determinanti di mutazioni epigenetiche.
Come fa notare Dario Pisello, Research Officer, Global Health Centre, Graduate Institute of Geneva, “L’inquinamento ambientale agisce contemporaneamente come causa e moltiplicatore di minacce per la salute, e in particolare l’OMS, possono fornire un prezioso contributo nella lotta ai determinanti ambientali. Settembre-Ottobre 2017. Secondo uno studio condotto nel 2012 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i fattori ambientali causano direttamente o indirettamente quasi 13 milioni di morti nel mondo (il 23 % di tutti i decessi registrati ogni anno).
In totale, più di un terzo delle infezioni del tratto respiratorio inferiore, più di metà delle malattie diarroiche, il 42 per cento dei casi di malaria, un quinto di tutti i tumori e una proporzione significativa delle malattie respiratorie e cardiovascolari sono cioè da attribuire ai cosiddetti determinanti ambientali della salute, incluso l’inquinamento atmosferico e degli ambienti interni, la mancanza di accesso ad acqua pulita e servizi igienici, la diffusione di vettori di malattie e l’esposizione a sostanze chimiche.
In altre parole, le condizioni ambientali, e più specificamente la costante evoluzione delle dinamiche ecologiche nell’Antropocene, sono fondamentali nel determinare se le persone sono in salute, e quanto a lungo esse vivono. Ripercuotendosi negativamente sui benefici che l’uomo trae da ecosistemi ‘sani’, l’inquinamento ambientale agisce contemporaneamente come causa e moltiplicatore di minacce per la salute umana.
In un contesto in cui il livello dei cambiamenti ambientali globali si avvicina a quei limiti planetari che regolano la resilienza del sistema Terra, gli effetti negativi sulla saluta umana continueranno ad aumentare e saranno sempre più caratterizzati da incertezza e mutamenti repentini.

I determinanti ambientali rappresentano una minaccia insidiosa per la saluta pubblica per tre differenti motivi.
Primo, perché sono causati da dei modelli insostenibili di consumo delle risorse, sviluppo tecnologico e crescita della popolazione che operano al di fuori del settore sanitario, e sono perciò particolarmente difficili da affrontare da parte dei tradizionali attori che si occupano di salute.
Secondo, perché nel passato il peggioramento della qualità ambientale ha coinciso con un drammatico miglioramento delle condizioni di vita e salute, una condizione che è stata descritta come “mettere un’ipoteca sulla salute delle generazioni future”.
Infine, perché l’impatto dei fattori ambientali sulla salute è solitamente diseguale, con marcate differenze a seconda di età, genere, geografia e tipo di malattia, e questo rende molto difficile identificare strategie che si occupino di prevenzione e di interventi di salute pubblica in maniera integrata. La questione, dunque, è abbastanza semplice: come possono le istituzioni che si occupano di salute, ed in particolare l’OMS, l’agenzia delle Nazioni Unite che dovrebbe guidare le politiche degli Stati in materia di sanità pubblica, contribuire ad una risposta efficace?

Ad un primo esame, sembrerebbe sbagliato pensare che la sanità pubblica, intesa come settore della governance globale, possa essere in grado di affrontare i determinanti ambientali della salute. Da un punto di vista pragmatico, gli attori che si occupano di salute globale non sono nella posizione di creare politiche efficaci nei confronti dei fattori di rischio ambientali che operano a diversi livelli di governance e attraverso differenti estensioni territoriali, quali ad esempio la perdita di biodiversità, il degrado del suolo, i cambiamenti climatici, e la qualità dell’aria e dell’acqua.
In secondo luogo, nonostante un crescente livello di inclusione di temi legati alla salute pubblica negli accordi internazionali in materia di ambiente, le istituzioni che si occupano di queste due aree di governance operano storicamente con agende separate e senza un vero coordinamento.
Allo stesso tempo, la situazione sembra essersi evoluta negli ultimi anni, non solo grazie ai maggiori tentativi di instaurare una più solida collaborazione tra l’OMS e le altre istituzioni internazionali (per citarne due, la partnership tra l’OMS e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente per la Health an Environment Likagese Iniziative e l’adozione del Protocol on Water and Health grazie al lavoro congiunto di OMS e Unece), ma anche a causa della leadership più decisa dell’OMS stessa sul tema degli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute pubblica (leadership culminata con la Marrakech Declaration del 2016 su” Health, Environment and Climate Change”).

In questo contesto, si possono segnalare due importanti sviluppi. In primo luogo, da un punto di vista giuridico, le correlazioni tra salute e ambiente sono state integrate sempre più nell’ambito del linguaggio dei diritti umani, grazie alla nascita del concetto di ‘diritto ad un ambiente salubre’. Nonostante la difficoltà nell’individuare gli obblighi precisi che un tale diritto imporrebbe a governi e settore privato, il considerevole aumento di controversie nazionali e internazionali legate a considerazioni di ‘salute ambientale’ non può essere ignorato, e probabilmente giocherà un ruolo importante nel sopperire al tradizionale deficit, da parte degli Stati, di rispetto delle norme contenute nei trattati internazionali in materia di ambiente.
In secondo luogo, da un punto di vista più propriamente politico, il tema della salute pubblica potrebbe essere usato (e nei fatti lo è in maniera crescente) per dare maggiore impulso all’azione intergovernativa su particolari temi ambientali, come testimoniato dalla leadership congiunta di Oms, Climate and Clean Air Coalition (Ccac) e Governo norvegese (attraverso la campagna globale BreatheLife sui rischi dei cosiddetti inquinanti climatici di breve durata.
Oltre ai tribunali e alla leadership politica, in ogni caso, ci sono molti altri modi in cui poter usufruire della natura dell’OMS, quale agenzia normativa e di supporto tecnico, a vantaggio della lotta ai determinanti ambientali. Questi interventi, ovviamente, non vanno intesi come un modo per aggirare l’autorità delle istituzioni che si occupano di ambiente. Al contrario, potrebbero essere fondamentali per trarre tutti i benefici per la salute che possono derivare da adeguate politiche ambientali, oltre ad incoraggiare una maggiore ambizione ed integrazione attraverso i diversi regimi di governance. In primo luogo, è necessario promuovere un’approccio multi-settoriale nei processi di policy-making, come quello di Health in All Policies (Hiap) e il One Health, al fine di rendere concrete le correlazioni esistenti tra il Goal 3 (Salute e benessere) e gli altri Obiettivi di sviluppo sostenibile contenuti nell’Agenda 2030. Ad esempio, una maggiore sinergia può nascere da un miglioramento della legislazione in materia di valutazione dell’impatto ambientale, che prenda in considerazione in maniera più approfondita gli effetti di certe decisioni amministrative o di policy sulla salute. Nonostante un consenso generale sulla necessità di integrare le cosiddette valutazioni di impatto sanitario e quelle di carattere ambientale, infatti, questo raramente avviene nella pratica, creando frammentazione e sovrapposizioni non necessarie. In tale prospettiva, uno sforzo rinnovato di Unep e OMS attraverso la Health and Environment Linkages Initiatives potrebbe dare uno slancio molto utile e fornire la necessaria assistenza a quei Paesi che cercano di sviluppare framework di valutazione degli impatti più integrati. Secondo, l’esperienza dell’OMS deve essere sfruttata per promuovere un’attuazione più efficace degli accordi internazionali in tema di ambiente. Guardando nello specifico al rafforzamento delle capacità dei singoli Stati sulla riduzione e valutazione dei rischi e ad un maggiore coordinamento dei vari settori e attori, l’OMS dovrebbe ad esempio incrementare la sua attività di sviluppo di piani nazionali d’azione, standard, linee guida e materiali di formazione (un caso recente riguarda il rapporto del suo Segretariato sul contributo del settore sanitario alla gestione sicura delle sostanze chimiche).
Inoltre, l’OMS potrebbe utilizzare la sua expertise in tema di indicatori di salute per fornire un miglior supporto empirico all’analisi degli effetti sulla salute dell’inquinamento ambientale e delle strategie di crescita ‘verde’.
Infine, l’OMS può certamente promuovere la resilienza dei sistemi sanitari nazionali di fronte ai cambiamenti ambientali e climatici. Questo significherebbe, nella pratica, incoraggiare l’inclusione di componenti di salute pubblica nei piani nazionali di adattamento ai cambiamenti climatici, assicurare una formazione e una gestione efficaci del personale sanitario nei casi di risposta alle catastrofi e fornire delle linee guida specifiche per il miglioramento delle infrastrutture sanitarie e la valutazione delle relative vulnerabilità e costi di adattamento.
Durante la sua campagna di elezione nel 2015, Tedros Adhanom, il nuovo direttore generale dell’OMS, ha condiviso una visione ambiziosa che mette la salute al centro dell’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile e ha identificato il cambiamento ambientale come una delle sue cinque priorità d’azione.
(Fonte: Giovedì 26 Ottobre 2017; https://asvis.it/approfondimenti/22-2314/-salute-e-determinanti-ambientali-il-ruolo-della-governance-della-salute-globale-)

Diritto ad un ambiente salubre

Il diritto ad avere un ambiente salubre è un diritto riconosciuto dall’articolo 2 della Costituzione italiana: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” ed è già riconosciuto nella Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, tramite l’art.8.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è una convezione internazionale redatta e adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa. È considerata il testo di riferimento in materia di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo perché è l’unico dotato di un meccanismo giurisdizionale permanente che consenta a ogni individuo di richiedere la tutela dei diritti ivi garantiti, attraverso il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo.

Il sopracitato art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dispone: « 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.».

Il 29 settembre 2021 è stata un giorno importante in Europa per il diritto internazionale dell’ambiente. In quella data Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha approvato una proposta di protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo avente ad oggetto il riconoscimento del diritto ad un ambiente sano e pulito.

La proposta, approvata con la raccomandazione n. 2211 (2021), dovrà andare adesso all’esame del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, organo composto dai ministri degli Affari Esteri di tutti gli Stati membri e deputato ad adottare i testi normativi

Qualora il nuovo protocollo venisse approvato, sarà poi aperto alla firma degli Stati parti della Convenzione. Entrerà in vigore, ai sensi dell’articolo 11 della proposta stessa, quando il testo sarà stato ratificato da almeno cinque Stati parti della Convenzione.

Anche se si tratta di un percorso decisamente lungo, resta un passo fondamentale, perché quando entrerà in vigore, il Protocollo sarà vincolante (per gli Stati che lo avranno ratificato) esattamente come la Convenzione stessa.

Questo, in sintesi, il contenuto della proposta: il “diritto a un ambiente sicuro, pulito, salubre e sostenibile” è enunciato all’articolo 5, mentre l’articolo 6 individua alcuni diritti procedurali, quali quello di accesso a tutte le informazioni in materia ambientale in possesso delle pubbliche autorità, quello ad essere consultati in occasione dell’adozione di decisioni rilevanti per la tutela dell’ambiente, il diritto di accesso alla giustizia in materia ambientale e il diritto a un ricorso effettivo. La garanzia di questo nuovo diritto, dice sempre la proposta, avverrà nell’ambito del rispetto di alcuni principi guida, ormai riconosciuti dal diritto internazionale dell’ambiente e dettagliati agli articoli 2, 3 e 4 della medesima proposta, tra i quali spicca l’affermazione della responsabilità verso le generazioni future in materia di tutela ambientale.

(https://www.tuttieuropaventitrenta.eu/2021/11/20/europa-diritto-allambiente-salubre-e-sostenibile/)

Tutto questo si sta muovendo all’interno di un macro sistema che sta sancendo la necessità di un ambiente sicuro, pulito, salubre e sostenibile, ma è chiaro che nell’istante presente è opportuno che ognuno di noi in campo residenziale e lavorativo realizzi autonomamente le condizioni necessarie che questo avvenga, perché aspettare che le grandi organizzazioni mondiali, che poi delegheranno ai singoli stati, senza contare la sostanziale modifica culturale che dovrebbe accompagnare il processo, rischierebbe di vedere applicate nel pratico, tutte le buone intenzioni, in un tempo dilatato, o, peggio, che queste strategie rimangano ai margini dell’attuazione per mere esigenze economiche di bilancio.
E’ chiaro che figure professionali come i Tossicologi Ambientali, o aziende e gruppi di ricerca come L’AETERE’S, che hanno dedicato la loro mission in questo segmento, rappresentano oggi una preziosa opportunità, in termini di competenza, esperienza e capacità formativa; il lavoro sul campo dei loro team sono in grado di realizzare condizioni di “ambiente sicuro” all’interno di micro sistemi e creare realtà di “rare space” che finiranno, anche semplicemente per sola emulazione, per moltiplicarsi, seguendo le regole vincenti del “principio del minimo stimolo”.
Lo studio approfondito più che decennale svolto da parte di AETERE’S su alcuni dei determinanti ambientali che ancora oggi, inspiegabilmente, rimangono ai margini dell’audience sociale e istituzionale, come gli aspetti che riguardano lo stress elettromagnetico e geopatico, sono fondamentali per arricchire il patrimonio di interventi negli spazi chiusi residenziali e lavorativi. La scelta adottata è stata quella di agire sul territorio e negli spazi abitativi non solo come meri tecnocrati, ma, contestualmente ai trattamenti ambientali, si è seguita un’etica di informazione condivisa; Abbiamo ritenuto indispensabile, oltre ad un operato professionale, spiegare, informare e creare quel giusto riverbero sociale, teso a rendere partecipi le persone della gestione del proprio benessere; ci è sembrata una strategia indispensabile non solo per promuovere il diritto alla salute, ma anche per infondere la giusta volontà e intraprendenza, necessarie per compiere la scelta consapevole di occuparsi della propria salute ambientale, prendendo decisioni importanti, ma anche attraverso l’adozione di semplici gesti quotidiani di educazione al benessere negli spazi.
Un riferimento importante, che segue concetti simili e coerenti, è il lavoro di ATTA, l’Associazione Tossicologi e Tecnici Ambientali che sta riunendo, secondo nuovi criteri, una serie di professionisti operanti nel settore della Biosicurezza ambientale, adeguatamente formati e costantemente aggiornati, al fine di controllare e proteggere l’ambiente terra, aria e acqua in tutta Italia, attraverso scuole collegate e tramite altre Sedi/Delegazioni, site in diverse regioni d’Italia.
Importante anche la costituzione di nuovi paradigmi sanitari, come quello di IppocrateOrg, che raggruppa una rete internazionale di Medici, Ricercatori, Operatori della Sanità, Operatori nel Sociale, con una visione diversa di approcciare sul territorio in materia di determinanti di salute.
In sostanza assistiamo ad un momento difficile, sotto diversi punti di vista, per rendere prioritaria la materia “determinanti di salute”, ma è evidente anche, che ci troviamo davanti ad una opportunità per modificare la nostra traiettoria verso un nuovo concetto di benessere.

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