Nel numero di Gennaio 2024 di ND Natura Docet (Rivista mensile di Medicina, Salute, Alimentazione, Benessere, Turismo e Cultura) è stato pubblicato un nuovo articolo sulla Tossicologia Ambientale, redatto da AETERE’S e riguardante gli “Effetti dei disturbi geotossicologici e la risposta biologica sul meccanismo di respirazione primaria in osteopatia”. Lo scopo dell’articolo e è quello di approfondire lo studio degli effetti prodotti dai disturbi geotossicologici (geopatie, nella vecchia nomenclatura) sui sistemi biologici in generale e sull’uomo nello specifico, utilizzando come metodologia di analisi la valutazione osteopatica.
Tale sperimentazione ha confermato quanto gli spazi in genere, siano essi di cura che abitativi e lavorativi, possano interferire negativamente con gli organismi viventi e quanto sarebbe opportuno, per limitare al minimo l’aggressione patogena ambientale, che in ogni fase dell’azione terapeutica venisse attuato un intervento di valutazione di Biocompatibilita’ e Riarmonizzazione Ambientale a carico di ogni spazio di cura e un’installazione strumentale salutogenica adeguata.
Scarica l’articolo completo (PDF)GLI EFFETTI DEI DISTURBI GEOTOSSICOLOGICI (GEOPATIE) E LA RISPOSTA BIOLOGICA SUL MECCANISMO DI RESPIRAZIONE PRIMARIA IN OSTEOPATIA
L’obbiettivo della presente ricerca, pubblicata all’interno del libro di Andrea Amato: “GEOTOSSICOLOGIA; L’attuale importanza degli effetti di geopatie e radon negli spazi abitativi e del lavoro” (Edito da Icone) è quello di approfondire lo studio degli effetti prodotti dai disturbi geotossicologici (geopatie, nella vecchia nomenclatura) sui sistemi biologici in generale e sull’uomo nello specifico, utilizzando come metodologia di analisi la valutazione osteopatica.
La Tossicologia ambientale, insieme con la Eco-tossicologia, è una branca della Tossicologia dedicata allo studio delle sostanze chimiche, potenzialmente tossiche che possono essere pericolose per l’ambiente naturale e l’uomo. Questa disciplina ha introdotto recentemente anche i disturbi geotossicologici (FIG 1) all’interno del novero degli aggressori ambientali. Questi ultimi sono strettamente dipendenti dalla struttura geologica del terreno (litotipi prevalenti, presenza di faglie e fessure, corsi e sacche d’acqua sotterranei) oltre che dalla normale presenza del campo magnetico reticolare di Hartmann (tellurico) e Curry (cosmico) con i loro rispettivi nodi. La presenza di uno o più campi energetici naturali non compatibili con le bioenergie, definiti geopatie, produce un’alterazione dello stato energetico e biologico dell’organismo definito stress geopatico. (FIG1)
Osteopatia
L’osteopatia è una disciplina sanitaria (individuata ufficialmente nella legge 3/2018) (volendo si può togliere) basata su un approccio integrato e complementare alla medicina tradizionale.
Attraverso una valutazione osteopatica, individua la “disfunzione somatica”, espressione dell’alterazione dello stato di salute causato da eventi stressanti esterni o interni all’organismo, come traumi e/o patologie. Solitamente si manifestano principalmente sul sistema muscolo scheletrico con dolore o riduzione di mobilità. L’osteopata, attraverso tecniche specifiche, stimola il ripristino della mobilità fisiologica a livello dei diversi sistemi (circolatorio, respiratorio, fasciale, nervoso, muscolo-scheletrico) che attraverso un’attività sinergica e coordinata, regolano il normale funzionamento dell’organismo. Più nel dettaglio è stata utilizzata la valutazione osteopatica per qualificare e quantificare i disturbi che le varie aggressioni geotossicologiche sono in grado di determinare in uno dei meccanismi più sensibili e importanti del corpo umano: il meccanismo di respirazione primaria, il quale rappresenta un sistema di controllo fisiologico considerato responsabile della modulazione armonica di molti processi essenziali dell’omeostasi corporea. Prima di entrare nel merito della sperimentazione è opportuno ricordare che esistono varie tipologie di disturbi geotossicologici, caratterizzate da una specifica gamma di frequenze. Le diverse aggressioni geopatiche possono essere catalogate in base alla loro capacità di disturbare la normale dinamica del cosiddetto “Meccanismo di Respirazione Primaria” (MRP: FIG 2)
Meccanismo Respiratorio Primario (MRP)
Il meccanismo di respirazione primaria è, in termini dinamici, una pulsazione globale e ritmica dell’intero organismo e rappresenta, come la respirazione polmonare, un processo ritmico che ha a che fare coi processi di scambio. Si chiama meccanismo perché è costituito da parti che assieme formano il meccanismo-motore che consente il manifestarsi di alcuni movimenti ritmici che sono parti di un’oscillazione lenta, profonda e armonica. Si manifesta una pulsazione bifasica che alterna fasi di espansione e retrazione. È un’onda di vita. Ogni funzione di un organismo vivente si esplica, si modula e si coordina attraverso questa dinamica. L’esistenza di questo meccanismo è stata ed è tuttora dibattuta e discussa perché all’interno del cranio e della colonna vertebrale non è in effetti presente nessun muscolo che possa sostenere questo movimento. Esistono alcuni muscoli esocranici (esterni al cranio), cioè quelli che influiscono sulla mobilità del cranio, s’inseriscono sul cranio, ma non possono essere considerati per la sua mobilità. Il MRP è, per così dire, il meccanismo-motore, che consente e coordina tutti quei delicati movimenti involontari e sincronizzati dell’organismo che danno origine all’onda di vita, al flusso vitale primario. Oltre che per questo motivo, si chiama primario sia perché è collegato direttamente alla respirazione dei tessuti interni del sistema nervoso centrale, la parte del nevrasse (parte del sistema nervoso costituita principalmente dal cervello e midollo spinale) che regola la respirazione polmonare e le restanti funzioni corporee, sia perché entra in azione prima della respirazione polmonare (Per alcuni ricercatori all’incirca nel quinto mese di vita fetale e si potrebbe ancora percepire anche da minuti ad ore dopo la morte). William Gardner Sutherland, il padre fondatore della moderna osteopatia craniale, indicò come sistema respiratorio secondario la respirazione polmonare, poiché riteneva che fosse controllata dalla respirazione primaria. Esso è un processo metabolico sia anabolico che catabolico; si svolge inizialmente all’interno del cranio ed è in relazione col sistema nervoso e il liquido cerebro-spinale, ma attraverso il drenaggio ritmico di tutti i tessuti corporei, assume un ruolo importante anche per la respirazione di tutti i tessuti. In estrema sintesi potremmo affermare che il meccanismo respiratorio primario (MRP) è composto da numerosi fattori:
* Motilità del cervello e del midollo
* Fluttuazione del liquido cefalorachidiano
* Mobilità delle membrane intracraniche e spinali
* Mobilità delle ossa del cranio e del sacro tra le ossa iliache.
Esistono molti riferimenti in letteratura che confermano l’esistenza del movimento intrinseco delle strutture cerebrali. Ogni organo del corpo presenta un fenomeno oscillante pulsatile, ritmico e il cervello non fa ovviamente eccezione. L’armonia di questo meccanismo è primaria per la vita, la sopravvivenza e la salute dell’intero organismo, ed è attraverso la valutazione osteopatica dei parametri di questa respirazione che è possibile misurare e valutare il livello di armonia funzionale globale. Si tratta della manifestazione percepibile e visibile di un respiro di vita; un effetto esterno che arriva dal nostro nucleo più interno e profondo che rappresenta un meccanismo di bio-feedback e fine-tuning (lett: “messa a punto fine”). Dal suo ascolto possiamo dedurre molte informazioni utili riguardanti lo stato di benessere della persona. Ma per ascoltare questo dialogo occorrono strumenti diversi dalle orecchie: le nostre mani. Scrive l’osteopata Vittorio Chesi, in “Dialogo con il movimento”: “Nella continuità di relazione tra tutti i tessuti e i sistemi, ciò che si trasmette ad una componente, in tempo quasi reale, viene recepito da tutto l’insieme dei sistemi. Nella continuità l’azione si trasmette a tutta la globalità corporea”.
L’osteopata utilizza le mani (FIG 3) come strumenti per ricevere, percepire, comunicare ed indurre modifiche sui tessuti. La straordinaria rappresentazione topografica corticale dell’area delle mani (omunculus sensitivo) è in grado di giustificare la straordinaria percezione tattile, ma occorre ricordare che la pelle in genere e il sistema nervoso centrale e periferico originano dallo stesso foglietto embriologico, quello ectodermico e quindi sono in intima relazione tra di loro funzionale.
Esistono dei parametri palpatori cranici standardizzati in grado di individuare una perturbazione percepita dal sistema neurocettivo, i quali evidenziano un chiaro minus funzionale caratterizzato da:
1. Brusco rallentamento della frequenza di pulsazione, fino, in alcuni casi, ad un completo arresto del MRP
2. Riduzione dell’ampiezza espansiva.
3. Riduzione di forza e vitalità
Le risposte organiche percepibili nella “respirazione cranica” sono perfettamente coerenti con una risposta di difesa che è comune a qualsiasi forma di vita, anche la più semplice. Il sistema biologico, percepita un’aggressione, risponde con un riflesso condizionato di tipo auto-conservativo che prevede:
* Allontanamento/ evitamento
* Chiusura
È una risposta di protezione e sopravvivenza; per ostacolare la penetrazione dell’agente lesivo il vivente mette in atto risposte conservative di vario genere:
* Si allontana e fugge
* Se ne viene impedita la fuga, si contrae e si chiude in sé stesso, per ridurre la superficie aggredibile, esattamente come un riccio che si chiude in sé stesso; o si immobilizza per simulare la morte.
Si tratta di una serie di risposte automatiche, inconsce, totalmente involontarie che caratterizzeranno la funzionalità del cosiddetto sistema neurovegetativo rettiliano o sistema nervoso autonomo. All’interno del nostro sistema nervoso centrale conserviamo dei nuclei, filogeneticamente più arcaici che sono deputati precipuamente alla ricezione, analisi e risposta al pericolo. Alcuni ricercatori, definiscono questa proprietà: neurocezione. Ma cosa si intende per Neurocezione?
Neurocezione: teoria polivagale
“Neurocezione” è un termine che è stato coniato dal Prof. Stephen W. Porges, insigne medico e ricercatore statunitense per definire un sistema subconscio per la percezione di minaccia e sicurezza. Nel suo interessantissimo libro, intitolato “La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione” (Giovanni Fioriti Editore) lo scienziato ci spiega il significato del termine e il complesso sistema adattativo a cui fa riferimento:
“Ho coniato il termine Neurocezione – scrive Porges – per descrivere in che modo i circuiti neurali sono in grado di distinguere situazioni o persone sicure, da quelle pericolose o minacciose per la vita. Essa avviene nelle parti primitiva del cervello Senza la consapevolezza cosciente. La valutazione di una persona (o di una situazione, ndr) come sicura innesca comportamenti prosociali. Anche se non siamo consapevoli di un pericolo a livello cognitivo, a livello neurofisiologico, il nostro corpo ha già iniziato una sequenza di processi neurali che faciliterebbero comportamenti di difesa adattativa come attacco, fuga o immobilizzazione.Per passare in modo efficace da strategie di difesa a strategia di pro-socialità il sistema nervoso deve fare due cose:
1. valutare il rischio
2. se il contesto sembra sicuro abbassare le reazioni difensive primitive che si basano su attacco, fuga o immobilizzazione.
La neurocezione allora incoraggia lo sviluppo di legami sociali e favorisce la riproduzione.
Soltanto in un ambiente sicuro è adattativo e appropriato inibire i sistemi di difesa e mostrare nello stesso tempo comportamenti palesemente orientati all’ingaggio sociale.
All’interno di questo libro, Porges propone dettagliatamente la sua teoria polivagale che considera il Sistema Nervoso Autonomo (SNA) l’autentico direttore d’orchestra delle azioni umane, regolando e armonizzando i processi neurovegetativi. Esso è formato essenzialmente da due sistemi complementari:
* un sistema reattivo, connesso a qualsiasi tipo di stress percepito, detto “Simpatico”
* un sistema inibente, detto “Parasimpatico” o “vagale”, perché mediato essenzialmente dall’attività della decima coppia di nervi cranici, i nervi Vaghi, appunto (FIG 4)
Sia da un punto di vista anatomico che funzionale, esistono più tipologie di nervo vago (da cui il termine “polivagale”) e sarebbe proprio lo studio approfondito dei diversi “vaghi” a mostrare un territorio inesplorato sulla storia e regolazione del mondo affettivo ed emotivo.
Dalla prefazione di Bessel A. van der Koll, si legge:
“L’introduzione della teoria polivagale ha ampliato enormemente questo modello con un’enfasi sul nervo vago mielinizzato che, con funzioni sociali, funge da sistema di regolazione che apre la ricerca al ruolo dell’ambiente per sostenere e migliorare gli stati fisiologici correlati allo stress…quando si percepisce che l’ambiente è sicuro le strutture di difesa localizzate nel sistema limbico vengono inibite. (…) La visione di Porges aiuta a porsi in una cornice dove il terapeuta e il paziente sono dei mammiferi che si orientano usando il loro SNA, che poi passa al livello di un incontro di personalità che si orientano al mondo interno e infine a livello di due attori che abitano il campo intersoggettivo insieme per co-creare stati fisiologici e psicologici condivisi.”
Sappiamo inoltre che il nervo Vago (FIG 4), nelle sue peregrinazioni anatomiche, raggiunge l’addome, sede dell’intestino che rappresenta il cosiddetto cervello enterico che è, da un punto di vista funzionale, il secondo cervello.
Nel libro “Il secondo cervello” di Michael D. Gershon si legge “Gli interneuroni sono cellule che aggiungono strati di complessità e sofisticazione che distinguono il sistema nervoso centrale e quello enterico dai banali gangli periferici che si trovano al di fuori dell’intestino (…) A causa dei suoi interneuroni il sistema nervoso enterico può modulare ed elaborare le informazioni ricevute.” L’intestino funziona quindi come un centro di elaborazione dati indipendente, grazie all’azione di un unico neurotrasmettitore come la serotonina che è prodotta per il 97% nell’intestino e solo per l’1% nel cervello. Secondo quello che è considerato il padre della neurogastroenterologia, “…l’intestino contiene neuroni (oltre 100 milioni) in grado di essere autonomi: essi cioè possono far funzionare l’organo senza ricevere istruzioni dal cervello o dal midollo spinale. La maggior parte dei neuroni enterici NON sono collegati direttamente al sistema nervoso centrale. (…) il sistema nervoso enterico è un sito indipendente di integrazione ed elaborazione neurale. È un ribelle…può scegliere di non obbedire agli ordini del cervello o del midollo spinale. Quando il sistema nervoso enterico fa funzionare bene l’intestino, il corpo è felice…quando non funziona bene e l’intestino si comporta male, i sillogismi, la poesia e i dialoghi socratici sembrano tutti svanire nel nulla”. Il neuroscienziato americano, presidente del dipartimento di anatomia e biologia cellulare della Columbia University, arriva ad affermare che “è possibile pensare al sistema nervoso enterico come al cervello migrato al sud”, ma che rimane connesso, seppur indirettamente, al SNC e al SNA grazie proprio al nervo Vago grazie alle sue terminazioni che sappiamo raggiungere proprio quella parte del corpo. Del resto non poteva che essere altrimenti. Una sistema aperto, così complesso come l’uomo, deve avere necessariamente un complesso sistema di regolazione, efficiente e completamente interconnesso. Un sistema di comunicazione, modulazione e armonizzazione che utilizzi connessioni sia di tipo anatomico che energetiche/quantistiche. Certamente il Vago rappresenta il sistema di cablaggio più importante. Entrando in profondità all’interno del complesso sistema di autoregolazione corporea scopriamo che la vita è un processo “relativo”, come sosteneva Einstein, nel senso letterale di relazione. Il corretto funzionamento dei sistemi viventi è il frutto di un’enorme quantità di interazioni e la qualità energetica dell’ambiente all’interno del quale il sistema vive è assolutamente determinante.
Tornando al libro di Porges, nel terzo capitolo, intitolato “Teoria Polivagale: nuove conoscenze sulle reazioni adattative del sistema nervoso autonomo” apprendiamo infatti che:
“Da un punto di vista funzionale, quando l’ambiente viene percepito come sicuro, si manifestano due fenomeni importanti:
1. Gli stati somatici sono regolati efficacemente per promuovere la crescita e il recupero (omeostasi viscerale) attraverso un aumento dell’influenza delle vie vagali motorie mielinizzate dei mammiferi sulla regolazione del pacemaker cardiaco che:
* rallenta il battito
* inibisce i meccanismi di attacco-fuga del SNS
* blocca il sistema di risposta allo stress dell’asse HPA (cortisolo).
2. Attraverso il processo evolutivo, i nuclei del tronco encefalico che regolano il vago mielinizzato si sono integrati con i nuclei che regolano i muscoli della faccia e della testa. Nei mammiferi è emerso un sistema integrato per gestire le interazioni sociali quando la regolazione neurale degli stati viscerali che promuovono la crescita e il recupero (attraverso il Vago mielinizzato) si è connessa neuro-anatomicamente e neurofsiologicamente con la regolazione neurale dei muscoli che controllano lo sguardo, l’espressione facciale, l’ascolto e la prosodia.”
In un tentativo di astrazione possiamo affermare che i sistemi viventi per poter evolversi verso forme sempre più adattative hanno dovuto perfezionare la loro capacità di trattare informazioni.
A tal riguardo, nel libro “Troppo intelligenti per essere felici? La plusdotazione intellettiva: riconoscerla, comprenderla, conviverci” di Jeanne Siaud-Facchin, l’autrice spiega che quando si parla di trattamento dell’informazione ci si riferisce al modo in cui il cervello elabora la totalità dei dati provenienti dall’esterno e dall’interno, dove per esterno si intende tutto ciò che avviene nell’ambiente circostante e che viene recepito dai cinque sensi, mentre l’interno è connesso all’attività cerebrale interna. Si tratta di una quantità titanica di informazioni non omogenee e spesso discordanti. Perciò la vera sfida diventa la selezione dell’informazione pertinente. Si sono evoluti dei meccanismi di selezione automatica; “uno di questi – scrive l’autrice – è l’inibizione latente, un processo cognitivo che ci permette di selezionare e stabilire una gerarchia negli stimoli e le informazioni che il cervello deve elaborare. Esistono alcune informazioni sensoriali che tendono a svanire progressivamente nel tempo (es: odori) perché l’inibizione latente le ha catalogate come secondarie in quanto poco pertinenti o utili. Si tratta di un procedimento neurologico fondamentale che scatta all’insaputa della nostra volontà cosciente.”
L’ambiente, quindi, non è solo un luogo geografico; è uno spazio di interazione e relazione in genere, in grado di modellare engrammi (anche disfunzionali) e complesse mappe spaziali mentali composte di cellule specializzate.
Engramma
Il termine engramma fu coniato al biologo tedesco Richard Semon nel 1904 per definire la rappresentazione neurale di una memoria. Il termine venne ripreso nel 1950 del neuroscienziato Karl Lashey, che lo identificava con un cambiamento transitorio o permanente nel cervello derivante dalla codifica di una esperienza. Attraverso queste strutture neurobiologiche la memoria sarebbe in grado di ricordare fatti e sensazioni immagazzinandoli come variazioni biofisiche o biochimiche nel tessuto del cervello e di altre strutture nervose. Un engramma è perciò una sorta di traccia mnemonica che si organizza nel sistema nervoso come conseguenza di processi di apprendimento e di esperienza.
Mappa spaziale mentale: grid cells e space cells (FIG 5)
Nel 2014, il premio Nobel per la medicina è stato assegnato a due scoperte apparentemente simili:
1. All’americano John O’Kneefe per la scoperta delle space cells, o cellule di posizione.
2. Ai coniugi norvegesi Edvard e Mary Britt Moser per scoperta delle grid cells, o cellule griglia.
Le space cells (cellule di posizione, FIG 5) sono la principale classe di neuroni presente nell’ippocampo e mostrano un elevato tasso di attivazione nel momento in cui l’animale occupa una determinata posizione statica nell’ambiente, corrispondente al campo di attivazione della cellula, la cui frequenza di scarica aumenta in modo impressionante quando un animale si situa in un posto specifico di uno spazio vitale. Si è ipotizzato che un codice di campo associato al gruppo di cellule considerato (place cell’s place field) sia computato in quest’area e trasmesso all’ippocampo quale è in grado di creare associazioni tra luogo ed eventi, procedimento necessario per la formazione delle tracce di memoria.
In altre parole questi neuroni sembrano essere ripartiti in aree di competenza topografica. Da recenti sperimentazioni è emerso che le place cells segnalano che l’animale è nel posto giusto in un determinato contesto: goal zone.
Una grid cell (cellula a griglia, FIG 5,6) è un tipo di neurone localizzato nella corteccia entorinale (EC) o entorinica che è una parte della formazione dell’ippocampo situata bilateralmente nelle regioni mediali dei lobi temporali. Tale area si attiva quando un animale si trova in una posizione particolare all’interno di un ambiente. Le cellule grid sono state scoperte nel 2005 ed è stato ipotizzato che una rete neurale formata da questo tipo di cellule possa costituire una mappa mentale dello spazio circostante. Una cellula grid ha molteplici campi di attivazione, disposti secondo una spaziatura regolare (FIG 6) che suddivide l’ambiente in un mosaico di tasselli esagonali. Tali cellule sono caratterizzate da numerose proprietà peculiari; nell’ambito del presente articolo ne segnaliamo due in particolare:
* Presentano campi di attivazione che ricoprono l’intero ambiente (al contrario dei campi place, ristretti a regioni specifiche dell’ambiente)
* Sono ancorate a punti di riferimenti esterni ma persistenti all’oscurità, suggerendo che esse facciano parte di una mappa dell’ambiente spaziale basata sul movimento del soggetto stesso.
Emerge quindi chiaramente come l’ambiente, in tutte le sue accezioni, sia in grado di condizionare pesantemente il nostro benessere, la qualità delle nostre relazioni e, in riferimento alla sperimentazione descritta in questo articolo, la precisione delle nostre analisi e l’efficacia dele nostre azioni. Ogni atto terapeutico, e nello specifico il trattamento manuale osteopatico, è un’azione proto-sociale che necessita di un ambiente percepito sicuro per sortire effetti efficaci e la qualità energetica del setting condiziona inevitabilmente anche il sistema neurocettivo dell’operatore. L’interazione terapeutica, che rappresenta una comunicazione risonante tra due esseri umani, necessita di essere svolta all’interno di un ambiente energeticamente pulito e percepito sicuro, accogliente, sano.
Nell’ascolto cranico operatore e paziente sono estremamente vicini. Le mani dell’operatore, cosi ricche di terminazioni nervose, contattano direttamente il cranio del paziente e, indirettamente, le strutture vagali, le interfacce primarie tra l’ambiente e la persona. Ogni elemento recettoriale è, inevitabilmente, un emettitore di frequenze energetiche. Considerando poi che la parte conscia del nostro apparato recettoriale è in grado di computare circa 4 × 103 bits al secondo (4000) e che l’inconscio ne computa 4 × 1011, cioè 400 miliardi, ci possiamo facilmente rendere conto dell’enorme varietà di frequenze energetiche che entrano in risonanza e della mole di informazioni scambiate.
Alla luce di quanto detto, diventa molto più comprensibile come aggressioni ambientali a bassa frequenza e intensità come le “geopatie” possano, nel lungo periodo, determinare una percezione di pericolo e uno stato di stress, termine introdotto per la prima volta in biologia da Walter Cannon nel 1935. Una condizione di stress prolungato può determinare la cosiddetta sindrome generale di adattamento (SGA), definita in questo modo da Hans Seyle nel 1936.
Per condurre questo test clinico è stato creato un gruppo di ricerca specifico composto da osteopati. Ciascuno di essi ha valutato e monitorato, nel corso di una sperimentazione clinica durata un gruppo eterogeneo di pazienti, differenziati per sesso ed età. Il focusing di questo test clinico si è concentrato sull’analisi della risposta biologica e della modifica dei parametri MRP in presenza di due specifiche categorie di geopatie:
1. Faglie e respirazioni telluriche
2. Acque sotterranee statiche e vettoriali
All’interno dei tre diversi setting terapeutici sono stati individuati gli spot geopatologici corrispondenti a ciascuna delle perturbazioni geopatiche sopraelencate, sui quali veniva posizionato il paziente, comodamente sdraiato sul lettino in posizione supina, per effettuare l’ascolto e la valutazione cranica. Ciascuno dei pazienti è stato valutato in corrispondenza delle due tipologie di geopatie, monitorando nel tempo la variabilità della risposta cranica, rapportata ai ritmi circadiani e stagionali. Nel corso della sperimentazione sono stati raccolti una grande quantità di dati che, una volta incrociati nella fase di valutazione osteopatica, sono risultati perfettamente sovrapponibili e coerenti. L’esito di questa ricerca ha confermato, nei fatti, l’ipotesi assunta come scopo della ricerca stessa. In ogni paziente le geopatie hanno determinato, seppur con intensità variabili, una limitazione importante del MRP. Dall’analisi dei dati percettivi è chiaramente emersa una correlazione tra tipologia geotossicologica (geopatica) e risposta biologica, che risponde sia a delle leggi fisiche che biologiche e sono emersi due dati importanti:
1. Esiste una differenziazione quantitativa della pericolosità di ciascuna geopatia, in base alla sua caratteristica frequenziale (Intensità, frequenza e lunghezza d’onda) e una variabilità soggettiva, determinata dal sentito individuale.
2. In ogni paziente le geopatie hanno determinato, seppur con intensità variabili, una limitazione importante del MRP.
Le geopatie sono onde di energia; un’onda è una struttura ripetitiva (periodica), nello spazio e nel tempo, caratterizzata da due parametri specifici. La distanza che intercorre tra due suoi massimi (o minimi) consecutivi viene chiamata lunghezza d’onda; la frequenza è invece una misura della ripetitività temporale (periodicità) di un’onda: quante volte nell’unità di tempo, per esempio in un secondo, si ripetono in una posizione fissa i punti di massimo (o minimo) dell’onda. Esiste una legge che correla queste grandezze: minor lunghezza d’onda, maggior frequenza e maggior intensità.
La sperimentazione ha evidenziato che quando l’organismo viene sottoposto a disturbi geotossicologici definiti plus (caratterizzati da una maggiore frequenza) come le Faglie e le respirazioni telluriche si osserva un brusco rallentamento della frequenza di pulsazione, una riduzione dell’ampiezza espansiva; in alcuni soggetti è possibile osservare un vero e proprio arresto del MRP. La riduzione di forza e vitalità del MRP è immediata nel 23% dei casi.
La risposta a geopatie considerate “minus”, come le acque sotterranee (statiche e vettoriali) è meno vigorosa nel breve periodo, ma, monitorando questo tipo di interazione nel tempo, si assiste ad un progressivo peggioramento della risposta adattativa di difesa; come se l’organismo sviluppasse una sorta di “ipersensibilità” a questo tipo di aggressione ambientale. Come le valutazioni craniche ripetute nel tempo hanno confermato, si osserva l’entrata in vigore di un principio biologico, denominato “principio di minimo stimolo”, formulato verso la metà del 1800 da Weber ed elaborato pochi anni dopo da Gustav Fechner, il quale afferma che la risposta biologica è sempre proporzionale al logaritmo (in base 10) dello stimolo. Ulteriori aspetti di questa legge biologica sono stati poi ulteriormente approfonditi dal prof Emilio del Giudice e G. Preparata, evidenziando appunto un fenomeno sommatorio che correla l’entità di una perturbazione al tempo di esposizione. Le geopatie sono perturbazioni energetiche di bassa intensità, ma fornendo un piccolissimo ammontare di energia i livelli più bassi delle molecole d’acqua, che compongono gli organismi, lo accumulano cominciando ad oscillare e facendo progressivamente oscillare quelli superiori. Se la natura della perturbazione è biocompatibile e armonica e questo minimo stimolo dura per un tempo prolungato, una grande energia caotica viene sommata e produce una grande energia coerente. Ma se la perturbazione è entropica, sempre grazie allo stesso principio, si produrrà una grande energia incoerente e dannosa. Anche il professor C.W. Smith, dell’Università di Salford in Inghilterra, ha dimostrato che un segnale poco idoneo per agire necessita di un tempo più lungo e quindi non può essere assorbito dall’organismo in tempi brevi. Nel lungo periodo, anche le geopatie minus determinano rapidamente nel soggetto esposto un’aggressione percepita e una risposta di difesa immediata e netta.
Il 29 settembre 2021 l’OMS e la Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo hanno sancito il diritto ad un ambiente sano e individuato un elenco di fattori definiti determinanti di salute, “fattori la cui presenza modifica in senso positivo o negativo lo stato di salute di un individuo e, più estesamente, di una comunità o di una popolazione”. Le condizioni ambientali fanno parte dell’elenco e incidono sulla salute per un importante 20%. Nonostante le geopatie non siano state segnalate in maniera specifica è innegabile, anche in virtù degli esiti della presente ricerca, che si tratti di un disturbo ambientale da valutare con attenzione per poter mettere in atto strategie adeguate di riarmonizzazione ambientale.
Il dato ormai scientificamente accertato che le caratteristiche energetiche degli spazi abitativi impattano prepotentemente sulla salute dei suoi occupanti ha guidato il dipartimento Holistic Lab AETERES a sviluppare un protocollo specifico di valutazione&intervento.
Al fine di ottimizzare ogni azione terapeutica, che ricordiamo essere un complesso processo di ascolto, analisi e trattamento, riteniamo che sia iimportante curare l’armonizzazione di quattro sistemi:
1. Paziente
2. Terapeuta
3. Spazio di cura
4. Spazi abitativi: domestici e lavorativi.
Nell’ambito del presente articolo è stato dimostrato quanto gli spazi in genere, siano essi di cura che abitativi e lavorativi, possano interferire negativamente con gli organismi viventi.
Ed è proprio per limitare al minimo l’aggressione patogena ambientale in ogni fase dell’azione terapeutica che sarebbe importante venisse attuato un intervento di valutazione di Biocompatibilita’ e Riarmonizzazione Ambientale a carico di ogni spazio di cura e un’installazione strumentale salutogenica adeguata, laddove il Tecnico Ambientale in Biosicurezza la ritenesse necessaria. Nell’eventualità, poi, che la sintomatologia a carico della persona permanga inalterata anche dopo un ciclo adeguato di cura diventa a nostro avviso indispensabile prendere in seria considerazione l’opportunità di un’analoga perizia ambientale anche degli spazi domestici e lavorativi.